SOFT-GRAFFITI

 

Ascesa e caduta della Digital Equipment Corporation

 
  1. Una società modello (Cos'era la DEC negli anni '80?)

  2. Breve storia della DEC

  3. L'uomo DEC (Qualità, onestà e profitto)

  4. Le due crisi

  5. Le contromosse del top management, gli scarsi risultati, il cambio della guardia

  6. Gli errori di gestione nel lancio dei nuovi prodotti

  7. La risposta finanziaria

  8. Epilogo e riflessioni

 

1. Una società modello

Cos'era la DEC negli anni 80?

Negli anni '80 la DEC, ovvero Digital Equipment Corporation, o semplicemente Digital, era la multinazionale numero due nel settore dei computer, dopo la IBM. Un ruolo quindi di assoluto rilievo in un settore che allora come ora, ma forse anche in misura maggiore di oggi, era strategico sia a livello economico, sia a livello di competizione tra stati e blocchi politici.

Parliamo quindi di una azienda con circa 120.000 dipendenti nel mondo, sedi in ogni paese occidentale, 2000 dipendenti in Italia, una sede principale nei pressi di Boston, dove la società era nata negli anni '50, ed una seconda sede di importanza mondiale in Europa, a Ginevra, un fatturato che sia avvicinava ad 1/5 di quello IBM (da anni il miglior concorrente del gigante dell'informatica era nell'ordine di 1/10) ed una gamma di prodotti hardware e software che copriva praticamente tutti i settori dei computer, dai piccoli sistemi e workstation per grafica ai grandi sistemi gestionali, dove praticamente tutto, dai dischi alle CPU, dai sistemi operativi al software gestionale o tecnico, era sviluppato in casa nei laboratori localizzati nella East Coast o in Francia, nel parco tecnologico di Sophia Antipolis.

Un ipotetico viaggiatore nel tempo che tornasse indietro di vent'anni ed entrasse in un ufficio Digital non sarebbe particolarmente spaesato, in quanto troverebbe gli stessi strumenti di uso comune ora, ovviamente con qualche differenza estetica. Avrebbe a disposizione computer in rete locale (LAN) a tecnologia Ethernet, la stessa usata oggi, potrebbe comunicare con posta elettronica (e-mail) con tutti gli altri dipendenti, potrebbe consultare listini, informazioni tecniche, informazioni sulla concorrenza su qualcosa di molto simile, grafica a parte, agli attuali siti web, potrebbe comunicare in modo informale con altri colleghi aventi interessi analoghi (e non solo di lavoro) mediante forum (o newsgroup) anche più efficaci di quelli attualmente disponibili su Internet. Al posto di Internet, che era nelle sue fasi embrionali e si chiamava ancora Arpanet (ed era una rete della difesa USA) il tessuto connettivo per tutte queste comunicazioni era la rete mondiale Digital, Easynet, che connetteva tutte le sedi.

 

Le altre società di computer (IBM inclusa) avevano alcune di queste soluzioni in casa, ma non tutte e non in modo così pervasivo, Digital era l'unica ad avere già questa impostazione dove "la rete è il sistema" (The network is the system), che era lo slogan principale del marketing DEC.

 

2. Breve storia della DEC

Come era arrivata a questa invidiabile posizione?

La Digital era stata fondata alla fine degli anni '50 da tre ricercatori del MIT (Massachussets Institute of Technology), i fratelli Ken e Stan Olsen e Arlan Anderson e si era riproposta sin dagli inizi di portare la tecnologia dei computer a uno strato più ampio di utenti e applicazioni, rispetto a quello che allora poteva accedere a questa tecnologia, cioà la difesa e le grandi istituzioni finanziarie.

Utilizzando un approccio a metà tra la invenzione in casa e la scelta ed adozione, prima degli altri, delle migliori innovazioni tecnologiche che via via si rendevano disponibili, la Digital aveva introdotto, negli anni '60 e '70: i primi minicalcolatori (il PDP-1 nel 1961, il PDP-8 nel 1963, il primo mini-calcolatore accolto da un effettivo successo di vendite, e poi nel 1970 il PDP-11, macchine a 12 bit (PDP-8) e infine a 16 bit (PDP-11), con prezzi alla portata della piccola e media impresa, adatti per l'uso sulle linee di montaggio o nei sistemi di difesa, anche sugli aerei), i primi computer personali (il PDT-01, un terminale con a bordo un minicalcolatore), i primi computer completi su scheda, per uso industriale (LSI-11), il primo sistema operativo a memoria virtuale, per uso generale - general purpose (il VMS, a 32 bit, per i nuovi computer VAX proposti a fine anni '70), la prima rete locale ad elevata velocità - 10 Mbit, a tecnologia probabilistica (Ethernet, sviluppata con Xerox e 3M, ma commercializzata e spinta da DEC), il primo software di rete adatto per computer di tutte le taglie, e per tutti gli usi (DECnet Phase III e Phase IV).

Nell'elenco, non esaustivo, "primo" indica non necessariamente la primazia tecnica, ma di mercato, in molti altri casi Digital aveva in listino ottimi prodotti, proposti comunque tempestivamente rispetto ai concorrenti. Parliamo dei sistemi di office automation e videoscrittura (All-In-1 e DECmate), dove si confrontava con la statunitense Wang, specializzata in questo settore, dei Data Base reticolari o relazionali (DBMS e RDB, quest'ultimo in competizione con Oracle e Informix), dei sistemi TP (ACMS), di altri prodotti software, dei dischi, delle CPU...

In molti settori DEC era allo stato dell'arte, per esempio nelle CPU, dove era in grado di produrre i chip con maggiore velocità (clock) del settore, anche superiore a produttori specializzati come Intel o Motorola. In altri aveva comunque la possibilità di competere ai massimi livelli.

La supremazia tecnica si traduceva in una posizione di mercato in costante crescita che, partita dal settore industriale (e militare), si espandeva negli anni '80 nel settore gestionale (banche, assicurazioni, pubblica amministrazione), tradizionale area presidiata dalla IBM e dai produttori nazionali (Olivetti, Bull, Siemens, ICL).

3. L'uomo DEC

Qualità, onestà e profitto

Oltre alla supremazia tecnica, un altro tratto distintivo della società multinazionale era il tentativo (riuscito) di plasmare un "uomo DEC", non un semplice dipendente, ma un convinto sostenitore della idee della Digital sull'informatica, sui rapporti con i clienti ed in generale sul ruolo di una grande azienda nella società.
Infatti il fondatore della Digital Ken Olsen, capo supremo della società sino alla crisi degli anni '90, era un uomo permeato di etica e di moralità, di religione quacchera, aveva impostato la sua società in coerenza ai dettami calvinisti sulla stretta relazione tra fede, benevolenza del Signore e successo delle imprese terrene.
"Qualità, onestà e profitto" era la sintesi della "missione" della Digital: la qualità e la eccellenza del prodotto, accompagnata necessariamente ed obbligatoriamente dalla onestà nei confronti non solo dei clienti e dei fornitori, ma anche dei concorrenti, portava come logica e ineluttabile conseguenza il successo e quindi il profitto.

A tutti i nuovi assunti la missione DEC veniva spiegata in due corsi obbligatori, chiamati "Orientation I e II", nei quali, oltre ovviamente alla organizzazione e ad altre indicazioni pratiche, veniva illustrata la impostazione etica della società, iniziando il percorso che avrebbe fatto del neo assunto una "persona DEC".

La gran parte dei dipendenti aderiva in modo convinto a questa impostazione, magari mantenendo un sano distacco (soprattutto in Italia e in Francia) dagli aspetti più calvinisti del messaggio, non solo per gli indubbi risvolti materiali - la Digital pagava mediamente di più dei concorrenti, distribuiva azioni ai dipendenti, prevedeva una "salary review", ovvero un aumento, a scadenza pressoché annuale e calibrata sui risultati - ma anche perché si esprimeva in questo modo una propria diversità, una posizione speciale, rispetto alla massa degli altri informatici. 

Erano gli "uomini DEC", che magari andavano in ufficio con i sandali d'estate, mentre i concorrenti della IBM mettevano il vestito grigio scuro e la cravatta rossa di ordinanza (infilata nei pantaloni), che non si fermavano di fronte ai sentieri non battuti, che puntavano alla supremazia convinti della propria forza e di quella della loro società. Gli "host-busters", parafrasando il celebre film "Ghostbusters" a caccia di "host", cioè di grandi sistemi IBM da rimpiazzare con i flessibili ed economici cluster di sistemi VAX/VMS, e convincenti nel contrapporre le reti Ethernet e DECnet contro le gerarchiche e verticistiche token-ring e SNA della IBM.

Il risultato era una azienda uniforme per impostazione in tutto il mondo, compatta e coesa, con una grande fiducia nei due capi supremi, Ken Olsen appunto e il suo numero due, il capo della DEC europea, l'italiano Pier Carlo Falotti, e profondamente ed intimamente convinta di vendere ai propri clienti il meglio nella tecnologia e nei servizi.

4. Le due crisi

Non sempre il progresso è rettilineo

Una società con punti di forza così marcati - prodotti e persone - sembrava in grado di superare qualsiasi crisi. In realtà proprio le organizzazioni (o le persone) molto convinte della propria superiorità, e confortate in ciò dai successi, sono le meno attrezzate verso le crisi esterne, le meno adatte a comprenderle.

La Digital ha in effetti dovuto affrontare nella sua lunga storia soltanto due crisi, ma ne ha superato solo una. 

La prima crisi ha coinciso con il successo planetario del PC nella prima metà degli anni '80. Erano gli anni in cui il capo della IBM John Opel, intuendone il grande potenziale, mise sul mercato il classico PC IBM con il sistema operativo comprato dalla piccola società di un certo Bill Gates, la Microsoft. Un PC che ebbe un successo inatteso nel mondo della industria, più che nel settore privato, come home-computer (era troppo presto).

Il vertice della DEC, con Ken Olsen, non condividevano la utilità del PC nel settore professionale, non vedevano la necessità rispetto ai sistemi basati su terminale, e vedevano invece i costi maggiori, quindi non si preoccuparono. Contro le loro aspettative e le leggi dell'economia, e a dispetto della modestia tecnica del sistema MS-DOS (per altro chiaramente derivato da un sistema operativo della Digital, l'RT-11) invece il successo del PC IBM, e poi dei suoi "compatibili" fu enorme, indirizzando le future evoluzioni verso strade molto opinabili, e regalando alla IBM un successo del quale la IBM stessa si sarebbe pentita pochi anni dopo, quando la piccola Microsoft si sarebbe affrancata, soppiantando in breve la ormai ex numero uno dell'informatica.

La Digital tentò di inseguire in ritardo e con affanno l'onda, quando si rese conto che era impossibile opporsi ad essa con le armi della logica, e propose un proprio PC, la DECstation. L'orgoglio del marchio, il desiderio di distinguersi, ne fecero però un prodotto semi-compatibile, mentre altri (Olivetti in primis, con un prodotto di grande successo, l'M-24), proponevano dei compatibili migliori dell'originale e più economici. Risultato, un grosso buco di bilancio e un "salary freeze" (sospensione degli aumenti) per tutto il personale mondiale.

La Digital uscì però in breve tempo dalla crisi, non tanto grazie a una migliore focalizzazione nel mercato PC, che rimase sempre e ancora per molti anni un suo punto debole (si vedeva proprio che gli ingegneri della DEC non ci credevano) quanto per un più convinto sfruttamento delle sue aree di forza, soprattutto grazie a un prodotto fortunatissimo, il MicroVAX, un VAX economico e compatto (estremamente compatto, fino alla taglia PC), venduto in decine e poi centinaia di migliaia di esemplari per ogni applicazione in ogni parte del mondo.

Nella seconda metà degli anni '80 quindi la Digital ricominciò la espansione con passo ancora più spedito, arrivando appunto più dappresso di qualsiasi altro competitore al numero uno IBM, ed estendendo la propria gamma di prodotti dal PC (ormai, obtorto collo, compatibile) al super-calcolatore, dal sistema gestionale al software per grafica 3D. E tutti o quasi i prodotti erano prodotti in casa, tanto da essere quasi una sindrome, la "not-invented-here syndrome".

Qui arrivò la seconda crisi esogena, che aveva un nome ben preciso: Unix. Anche in questo caso il management Digital, Ken Olsen in testa, non vedeva la utilità per i clienti del sistema sviluppato per scopi di ricerca da un ricercatore dei Bell Laboratories (si chiamava Ken Thompson) ormai molti anni prima, e che il mercato apprezzava in quanto "open" e "multi-vendor", quindi perchè dava una (illusoria e sostanzialmente inutile) indipendenza dall'hardware.

"Unix is snake oil" sentenziò Ken Olsen, riallacciandosi ai medici ciarlatani che vendevano nei paesi del vecchio West un "olio di serpente", medicina per tutti i mali. Aveva probabilmente ragione, il mercato e i clienti si ingannavano se pensavano di abbassare i costi dell'informatica partendo dall'hardware, ma un suo concorrente, Scott McNealy della Sun, sposò senza esitazioni il nuovo verbo, tagliando anche drasticamente i margini di profitto, e altri come la HP lo seguirono, e in pochi anni, o forse pochi mesi, il mercato volle solo prodotti della famiglia Unix, hardware indipendent, open, e vendere il VMS e il VAX divenne problematico, nonostante la netta superiorità tecnica.

La Digital entrava nella sua seconda, pesante, crisi, anche se da dentro era difficile accorgersene.
 

5. Le contromosse del top management, gli scarsi risultati, il cambio della guardia

Reazione e ribaltone

Nonostante il nuovo attacco portato proprio al suo mercato di riferimento, i minicalcolatori, quindi la piccola e media impresa e i dipartimenti (si parlava allora di informatica dipartimentale, quella alla portata dei budget dei dipartimenti, che non coinvolgeva nella decisione il vertice aziendale), la Digital aveva ancora un tale vantaggio nella tecnologia "in casa" che le avrebbe consentito di riposizionarsi velocemente, ancora come leader, nel nuovo scenario di mercato.

Naturalmente questo è chiaro oggi, col senno di poi, lo era molto meno allora. 

Il management impostò la controffensiva ancora sulla orgogliosa "diversità" DEC, quindi cercò di affermare il VMS come un sistema veramente aperto, appoggiandosi ad una entità indipendente, la Open Software Foundation, che definiva le caratteristiche dei sistemi open, e andava oltre Unix. Nelle reti cercò di controbattere lo standard emergente TCP/IP di Internet con lo standard ufficiale OSI, proposto dalla ISO (la International Standard Organization, quindi l'ente sovranazionale per gli standard), e dai gestori TLC, adottandolo integralmente (e per la prima volta sul mercato) con la nuova versione del suo software di rete, il DECnet Phase V. 

In parallelo, oltre all'immancabile piano mondiale di taglio dei costi e degli sprechi, veniva ripescato e rimesso in pista in tutta fretta il progetto PRISM, per una CPU RISC superveloce (fino a 1GHz, all'epoca le CPU andavano ancora a MHz, che Digital aveva accantonato 2-3 anni prima lasciandola a livello di prototipo). Il fatto è che anche la tecnologia RISC (Reduced Instruction Set Code) era considerata dal management DEC, con qualche ragione, una moda, e il VAX era CISC (Complex Instruction Set Code). 

La capacità tecnologica c'era e la Digital fu pronta in breve tempo a lanciare sul mercato una nuova CPU superpotente, a 64 bit e clock nell'ordine del GHz, la nuova linea di sistemi venne battezzata VAX Alpha, non rinunciando quindi a collegarla alla storia DEC. Era almeno 5-10 anni avanti alla concorrenza, in effetti HP proporrà CPU a 64 bit solo 10 anni dopo, e il mondo PC e Workstation Intel è ancora praticamente tutto a 32 bit. Naturalmente non sappiamo cosa avrebbero fatto i competitori se Alpha fosse diventato un leader di mercato, come non è stato, contro ogni logica previsione.

Gli effetti delle contromosse tardarono a manifestarsi, e i fatti si susseguirono velocemente: gli analisti qualificarono la DEC come una azienda con una linea di prodotti non allineata al mercato e costi interni troppo elevati, l'azione di conseguenza iniziò a calare velocemente, gli azionisti alleati (la DEC era una public company, i principali azionisti erano alcuni fondi pensione USA, con non più del 5%) misero sotto accusa il management costringendolo alle dimissioni. In un fatale venerdì del '91 quindi gli attoniti "uomini (e donne) DEC" vennero informati la mattina delle dimissioni di Ken Olsen, e la sera di quelle di Pier Carlo Falotti. Il nuovo capo era Bob Palmer, il potente manager della divisione CPU, responsabile del veloce e tempestivo sviluppo di Alpha.

Sarebbe stato il secondo, ma anche l'ultimo, capo mondiale della DEC.

 

6. Gli errori di gestione nel lancio dei nuovi prodotti

L'ultima spiaggia: 
il VAX Alpha

Il tentativo di recupero si basava quindi essenzialmente sul chip Alpha, essendosi rivelate le altre contromosse, peraltro impostate dal management precedente, insufficienti.

In effetti puntare alla supremazia degli standard internazionali alla fine degli anni '80 era antistorico. Erano gli anni del reaganismo trionfante, della deregulation, del capitalismo libero e selvaggio, senza regole, lacci e lacciuoli. 

Di essere conformi agli standard non importava nulla a nessuno, neanche alle pubbliche amministrazioni, tutti si accontentavano degli standard di fatto, che ormai erano tre soltanto, e sarebbero rimasti tali fino ad ora: PC Intel, Unix, Internet e TCP/IP (sull'altro importante standard, il sistema operativo per PC, la lotta era ancora aperta e IBM stava facendo il suo ultimo tentativo - destinato al fallimento - di contrastare il sistema Windows di Microsoft con il suo OS/2). Per completezza c'è da dire che sul restante elemento strategico, le LAN, la Digital aveva vinto, lo standard era Ethernet, ma chi ne beneficiava erano altri produttori, quelli di schede e componentistica di rete.

Quindi i prodotti standard proposti da Digital - l'OpenVMS, il DECnet Phase V, il sistema di gestione reti Polycenter, il sistema transazionale ACMS / DECForms - si vendevano solo ai clienti già acquisiti e che continuavano ad apprezzare la superiorità DEC, e non consentivano di conquistare quote di mercato.

Nei PC, ora strategici, ma anche allora importanti, Digital aveva abbracciato gli standard (Microsoft in questo caso, per la ovvia e tradizionale rivalità con IBM) e proponeva una linea di prodotti validi, per un certo periodo in partnership con la italiana Olivetti. Aveva una sua quota di mercato, ma non era sufficiente a contrastare il calo di profitti sul segmento importantissimo dei sistemi mini e medi.

In sintesi, tutta la partita si giocava sul VAX Alpha. Come avreste proposto al mercato un prodotto di gran lunga superiore alla concorrenza, per esempio un'auto che consuma la metà e ha il doppio di potenza?

Sicuramente l'avreste proposta solo se eravate in grado di venderla, e l'avreste vestita secondo le preferenze del mercato, per esempio, ora che vanno le macchine alte, l'avreste fatta alta e non bassa e sportiveggiante.

Il top management DEC incredibilmente fece proprio questi errori di base. Propose il nuovo chip superpotente (come già annunciava il nome) sulla gamma che il mercato non voleva più, Alpha e VMS, invece che sulla gamma Unix (Digital aveva ovviamente una linea di sistemi Unix, la sua versione si chiamava Ultrix). Annunciò il nuovo chip anche quando non era pronto, e anche quando iniziò la distribuzione, non era disponibile tutta la amplissima gamma di prodotti software e di utilities dell'ambiente VMS.

Risultato? I clienti tradizionali Digital rinviarono gli investimenti, perché dovevano mettersi in casa macchine che lo stesso produttore dichiarava obsolete? I clienti nuovi o in uscita verso il mondo Unix pensarono "interessante, quando ci sarà una versione Unix ci farò un pensiero" e continuarono a comprare Sun e HP.

Era il 1993 e la crisi cominciava ad avvitarsi. 

 

7. La risposta finanziaria 

Vendere e alleggerirsi 
(di persone)

A questo punto si innesca la risposta finanziaria e non industriale alla crisi. La risposta industriale era ancora possibile, perchè la capacità produttiva e tecnologica della DEC era intatta, così come era intatta la qualità (superiore) delle sue risorse, il loro spirito di appartenenza e la loro disponibilità a battersi per tornare in testa.

Le regole ferree del mercato azionario, del management by objectives (MBO), dei ritorni d'investimento misurabili e certi, quindi a breve, in una parola del "capitalismo inefficiente" erano però all'opera e impedivano, semplicemente, di intraprendere la strada della risposta industriale. Sarebbero occorsi ancora 1-2 anni per vedere il ritorno degli investimenti e il risollevarsi dell'azione. Gli azionisti non possono aspettare questi tempi, vendono e comprano altrove, magari le azioni dei competitori. Una public company autofinanziata, con basso ricorso al credito, non può permettersi di far fuggire gli azionisti, e deve intraprendere azioni a breve, quindi la risposta finanziaria.

Paradossalmente una azienda indebitata, quindi in mano alle banche creditrici, ha più possibilità di intraprendere una risposta industriale, e quindi di sopravvivere come azienda. Infatti le banche hanno interesse a ricostituire il valore, quindi l'azienda florida, solo in questo modo possono recuperare i crediti, non potendoli cedere ad altri, come è il caso degli azionisti.

La risposta finanziaria, che Palmer intraprese senza esitazioni, perché era nominato dagli azionisti e renumerato in azioni, era basata come al solito su due direttrici: la vendita di settori dell'azienda che potevano produrre cassa, compensando i profitti mancanti, e il taglio dei costi, cominciando dal costo più costante, perché ricorrente, e al quale la borsa è più sensibile: il costo del personale.

Sul lato vendite la strada fu indicata, per chi sapeva cogliere i segni, da una strana operazione: la vendita della linea di prodotti Polycenter - per la gestione delle reti - al tradizionale concorrente IBM, che aveva un prodotto analogo e concorrente (Tivoli). Le persone DEC appresero con sconcerto di questa apparentemente bizzarra iniziativa. Non era un prodotto strategico per quota di mercato, e la vendita a IBM indeboliva però la immagine di Digital come società specializzata nelle reti.

A questa seguirono però altre dismissioni sempre più pesanti: il database relazionale Rdb alla concorrente Oracle, che comprò praticamente un parco clienti, la vendita della divisione storage (il cui valore era soprattutto nel settore dischi - la Digital era rimasta all'avanguardia nei dischi e questi erano un punto di forza dei suoi prodotti) a due produttori specializzati.

In parallelo andava l'opera di alleggerimento del personale. Al management veniva dato l'obiettivo di tagliare le risorse non strategiche, chi non si adeguava all'ingrato compito poteva accomodarsi alla porta. Venivano prima individuati gli specialisti software con stipendio superiore ad una soglia (100 milioni all'anno in Italia) e senza funzioni di manager, ed invitati ad accettare un incentivo per l'uscita (due anni di stipendio e un piano di outplacement), poi i venditori superiori alla soglia ma con giro di affari inferiore a 3 miliardi all'anno, poi venne tagliato d'ufficio (con consenso obbligatorio) lo stipendio ai venditori trasformando una quota di esso in parte mobile dipendente dai risultati (i venditori della DEC, era una fissa e un vanto di Ken Olsen, non prendevano provvigioni). Naturalmente si proseguiva poi con gli altri livelli aziendali inferiori, l'obiettivo era di arrivare in breve sotto le 100.000 risorse a livello mondiale.

Il management, che era composto anch'esso da "persone DEC", plasmate all'idea di azienda speciale ed etica di Ken Olsen, opponeva resistenza o addirittura lasciava, così arrivava nuovo management del tutto avulso dalla cultura Digital, come il nuovo capo della Digital Europa, ancora un italiano, proveniente dalla IBM, famoso perché dava del "lei" ai dipendenti (in Digital era obbligatorio il tu, anche con il vertice aziendale). Gli "uomini DEC" lo soprannominarono "Licenzio Domani", con evidente riferimento alla sua principale occupazione in DEC.

E' immaginabile l'impatto che questa brusca conversione di marcia ebbe sul popolo DEC: una società che finora aveva chiesto molto, e ottenuto molto dalle proprie risorse, ma anche dato molto, ora repentinamente diceva "non mi servite più, siete un costo", e tutte le riunioni e i corsi sul valore dell'appartenenza a una società diversa, che si muoveva con obiettivi che non erano rappresentati dal solo conto economico? Tutto lo sforzo per creare uno spirito di team, per eliminare l'individualismo (fino alla scelta anomala di non dare provvigioni ai venditori)?

Abbiamo scherzato. Erano applicabili solo al periodo delle vacche grasse, ora in fase di ristrettezza si torna ai fondamentali. Tu subordinato io padrone. Non era vero, i capi precedenti ci credevano veramente, ma questa era la conclusione alla quale arrivò velocemente il popolo DEC. Che quindi si divise tra quelli che trovavano un diverso lavoro, quelli che non lo trovavano ma comunque ci provavano, e prendevano intanto la buonuscita, e quelli che non lo potevano trovare o non lo volevano trovare e quindi rimanevano. Ma per ben pochi era una scelta, solo per pochi, giovani, che non dovevano fare i conti tutti i giorni con il confronto con i tempi d'oro, e con la consapevolezza che non sarebbero tornati.

 

8. Epilogo e riflessioni

Il senno di poi

E' intuibile che con questo capitale umano fortemente demotivato, con una capacità di sviluppo fortemente diminuita dalle dismissioni, con concorrenti che entravano nel proprio parco clienti, con una immagine di marchio compromessa, era ben difficile per la Digital risalire la china.

Tutta la speranza era riposta nella linea Alpha, e nella aspettativa che prima o poi il mercato ne avrebbe riconosciuta la superiorità, anche perché nel frattempo la dotazione software era stata completata, ed era anche disponibile una versione Unix discretamente equipaggiata.

Come era stato già dimostrato ampiamente in altri settori della elettronica e dell'informatica (Betamax versus VHS, OS/2 IBM versus Windows Microsoft) non sempre è il prodotto migliore a prevalere. Così il mercato continuava a comprare i sistemi Sun con i suoi sistemi operativi, dialetti Unix assai poco standard e portabili (sunOS e poi Solaris), i sistemi HP, molto meno potenti e con una versione di Unix giudicata scadente dai puristi (HP-UX).

Gli Alpha si vendevano, beninteso, e la capacità tecnologica della Digital riusciva ancora a mettere a segno un ultimo colpo, il primo motore di ricerca ad alte prestazioni, Altavista, apripista per il futuro motore universale Google. Digital quindi era tornata in utile, anche grazie alla pesante cura dimagrante (i dipendenti ormai erano la metà del momento di maggiore espansione, uno su due aveva lasciato l'azienda), l'azione era tornata ai livelli pre-crisi.

Non erano però risultati di fatturato che consentivano di misurarsi con i primi. HP era ormai da tempo il numero due, e anche altri un tempo minori (Compaq) salivano ai vertici. Per tornare ai vertici la linea Alpha sarebbe dovuta diventare leader di mercato indiscusso, ma così non fu.

Paradossalmente tutto questo non interessava al mercato azionario. Quando la Digital era, pochi anni prima, un formidabile concentrato di tecnologia e di volontà di vincere delle sue risorse, con un parco di clienti affezionato e convinto, una gamma di prodotti eccezionale, l'azione valeva meno, e calava, rispetto ad ora, dove soltanto i conti erano (temporaneamente) a posto, ma non si capiva quale futuro avrebbe avuto l'azienda, quale giustificazione per rimanere nel ristretto novero di un settore industriale ormai maturo.

Il paradosso della valutazione esclusivamente finanziaria, della preminenza del valore dell'azione sul valore dell'azienda, del ritorno a breve anziché a medio termine, trovava un esempio eclatante.

L'epilogo era a questo punto scontato, la Digital poteva continuare a rimanere una realtà economicamente importante soltanto mantenendo i conti a posto, e in mancanza di espansione poteva farlo soltanto vendendo altri pezzi. Rimanevano ormai soltanto due cose importanti da vendere: la divisione CPU e la azienda stessa.

E questo fu fatto da Bob Palmer, secondo presidente dopo il fondatore Ken Olsen, e liquidatore della società. La divisione CPU, con la sua fabbrica all'avanguardia, fu venduta al principale concorrente, la Intel. A questo punto la Digital stessa era sul mercato, il suo valore patrimoniale non era alto e per ottenerne il controllo, essendo una public company, non era necessaria una scalata impegnativa. 

E la vendita ci fu, al concorrente che nessuno avrebbe sospettato, la Compaq. Quella azienda nata per produrre compatibili che sfidassero la IBM non soltanto sul versante del prezzo (ce n'erano tanti) ma anche su quello della qualità, e che aveva avuto un buon successo, diventando uno dei principali produttori mondiali di PC, proprio quando il PC diventava irrinunciabile per ogni organizzazione (e ormai per ogni casa) e si espandeva a macchia d'olio.

La Compaq disse che voleva completare la sua competitività nel settore server utilizzando la competenza DEC, ma probabilmente voleva soltanto crescere in dimensioni, acquistando il fatturato e le risorse DEC, salendo in posizioni nella classifica dei maggiori fornitori, e quindi attirando investimenti in borsa. Aveva abbastanza soldi per farlo e lo fece.

Qualche anno dopo la Compaq subì la stessa sorte, finì nel mirino della HP e del suo manager Carly Fiorina, che voleva sfruttare la buona situazione finanziaria che derivava alla HP dal quasi monopolio nelle stampanti (altro che "paperless office") per una crescita immediata di fatturato e posizioni. Dopo una battaglia interna contro gli eredi dei fondatori della società (contro uno di essi in particolare, il figlio di Hewlett) la volitiva presidente riuscirà, nel 2003, ad imporre la fusione, e la Digital, quello che ne rimaneva come risorse e idee, divenne, per ironia della sorte, proprietà di un antico concorrente, considerato per nulla pericoloso all'epoca, per di più.

 

Appendice. Cosa avrebbero dovuto fare

 

Col senno di poi è facile giudicare. Eppure Digital poteva ancora recuperare la seconda crisi. Ne aveva la capacità tecnologica, doveva solo liberarsi della sua ideologia e della sua auto-referenzialità, e confrontarsi pragmaticamente con il mercato.

Concentrare in prima battuta gli investimenti sulla linea di sistemi Unix (Ultrix), completando la offerta e spingendoli presso la forza di vendita. E' vero che garantivano margini inferiori rispetto ai tradizionali VAX/VMS, ma era indispensabile conquistare una quota nel nascente e fiorente mercato Unix per garantirsi il futuro.

Su Unix-Ultrix doveva essere lanciata la CPU Alpha, la minore gamma di software in dotazione avrebbe reso più immediata la disponibilità e minore la distanza con la gamma precedente, e il lancio sarebbe avvenuto su un segmento di mercato dove le differenze di prestazioni sono immediatamente percepibili (per esempio sulle workstation grafiche).

La base di installato VMS sarebbe stata naturalmente curata dalla grande capacità produttiva di DEC, che aveva a piano anni di miglioramenti sulla gamma di prodotti, e avrebbe beneficiato anch'essa, in un secondo tempo, della innovativa CPU Alpha.

Abbandonare ogni velleità di imporre uno standard di mercato appoggiandosi ad uno standard ufficiale, proposto da un organismo super-partes (ISO, CCITT). Gli organismi avevano perso la forza che avevano negli anni '70 e gli standard gli sceglieva il mercato, buoni o cattivi che fossero. In particolare questo valeva nel mondo delle reti, tradizionale punto di forza della Digital. Era anacronistico insistere su uno standard per la rete aziendale (come era ancora DECnet Phase V) mentre stava nascendo la rete globale, Internet. Lo standard di rete da adottare doveva essere quello di Internet, che peraltro DEC aveva già disponibile nel proprio catalogo prodotti, sia per VMS sia per Ultrix.

La adozione dello standard di Internet, TCP/IP, avrebbe anche consentito di conquistare una fetta di mercato per i numerosi prodotto specializzati di rete (router, gateway) che la Digital aveva in catalogo, ma che parlavano solo DECnet (come gli omologhi IBM parlavano solo SNA). La Cisco era allora, ancora un player secondario, e la Digital avrebbe potuto essere al suo posto, o almeno al suo fianco, quando sarebbe esplosa la domanda della connessione ad Internet. Poteva farlo perché era avanti nella tecnologia, che derivava in buona parte dalle soluzioni per LAN.

Sfruttare la forza del proprio marchio per proporre PC standard e completamente compatibili (non come le vecchie DECstation) ma con qualche caratteristica che li differenziasse dalla concorrenza. E puntare anche qui ad una quota di mercato significativa, che avrebbe garantito il futuro della società nel nuovo scenario degli anni '90, con la diffusione di massa del PC.

Infine, non scalfire il formidabile valore aggiunto rappresentato dal fatto di avere risorse motivate. Impostare il controllo dei costi sul taglio momentaneo dei benefit o della salary review, sulla riununcia a lussi giustificati in precedenza dagli alti margini e non più sostenibili. Ma mantenere fermo il messaggio alle risorse, sul loro ruolo centrale.

Una Digital riposizionata pragmaticamente in questo modo avrebbe conquistato quote significative nei nuovi mercati, senza abbandonare la propria base installata di utenti già convinti. La CPU Alpha avrebbe fatto il resto, trasformando queste quote in dominanti, grazie alla assoluta supremazia tecnica.

D'altra parte questa fu la strada seguita da HP e, con qualche ritardo, anche da IBM, che non a caso sono attori di prima grandezza nel mercato dei computer a livello mondiale.

 

Diversa opinione? Inesattezze? Scrivici

 

© AMT per Soft-Graffiti / Marzo 2007

Contatto

Disclaimer

Home

Creative Commons License
Questa opera è pubblicata sotto una Licenza Creative Commons.